giovedì 25 maggio 2017

L'arte e l'artista


Volete sapere cosa penso del ruolo dell’artista nella società? L’artista deve indicare la via per la bellezza, deve sorprendere e spiazzare, diffidate dagli scrittori che interpretano i vostri bisogni, se leggendo un libro non fate altro che pensare “ehi, ma è quello che avrei voluto dire io!”, non è un capolavoro, forse è buona prosa, ma niente di più, l’autore scrive per coccolarvi, per farvi sentire a casa, sfrutta le vostre debolezze mascherate da granitiche convinzioni. L’arte deve trascinarvi in sentieri sconosciuti, magari impervi e pericolosi, ma mai consunti come i marciapiedi del vostro quartiere, vi deve aprire porte su nuovi universi, mettere in discussione il quotidiano per mostrarlo sotto un’angolazione diversa. Insomma, deve essere un altro sguardo sul mondo. Più alto. L’arte è simile all’artificio, nel senso che deriva dall’opera dell’uomo, non esiste in natura, nasce prima nella mente di chi la crea, poi va plasmata, modellata dall’abilità e resa disponibile agli occhi degli altri, il processo con cui il vago prende forma, la materia diviene significato, il caos ordine. Io credo anche che l’arte dovrebbe liberarsi dell’ingombrante personalità dell’artista. L’opera, in particolare in letteratura, avrebbe bisogno di una sua autonomia rispetto all’autore, vivere di luce propria e non nel riflesso di chi l’ha creata. Dovremmo essere in grado di apprezzare “Il giocatore” per quel capolavoro che è, senza subire il fascino della pur straordinaria vita di Dostoevskij. Il libro come entità autonoma, il prodotto dell’artista, non il suo distillato. Certo, dobbiamo permettere a chi crea di sentire la sua vita un tutt’uno con la sua opera, è quasi fisiologico, anzi, talvolta questa sovrapposizione è indispensabile. La verità è che spesso siamo portati a pensare all’artista come a un uomo straordinario, dotato di sensibilità superiore e eccellente in tutti gli aspetti della vita, sublime nelle qualità e diabolico nei difetti. Non lo trovo giusto. Il “cliente”, chi guarda, chi legge, chi ascolta, non deve innamorarsi dell’artista, caso mai dell’arte. Non ha bisogno di trovare l’autore bello, anzi, con un atto di rispettosa misericordia deve permettergli di essere meschino, volgare e con l’alito cattivo, insomma, deve concedergli quei difetti, e pregi, che fanno di lui un uomo e non un libro, un quadro, un concerto in si minore... Magari l’artista, sgravato da così pesanti responsabilità, potrebbe anche esservene grato. Non dico che le vicende umane che si annidano nei risvolti di copertina non siano interessanti, dico solo che Primo Levi non ha scritto “Se questo è un uomo” perché ha affrontato gli orrori di Auschwitz; lo ha scritto perché fra tutti quelli che hanno subito la stessa sorte lui solo aveva i mezzi adeguati per renderci partecipi della sua esperienza, era l’unico grande scrittore. Già… ci stiamo addentrando in territori controversi… che dire allora delle influenze “geografiche”, legate all’ambiente, al background di chi scrive. Parlando dell’occidente gli autori americani, per esempio, tendono a mettere molto di sé e della loro giovane cultura nei romanzi, pensate a Hemingway, cosa sarebbe la sua prosa senza gli eccessi dell’uomo? Ma anche a Bukowski o Melville. Gli europei, gli italiani in particolare, riescono ad essere più neutri, sono più discreti nell’esporsi, certo, è più facile per loro, millenni di storia e tradizione sono dalla loro parte, possono permettersi di osservare le vicende del mondo con più distacco. Gli americani, anche quando affrontano l’argomento storico, lo fanno con l’occhio di Hollywood, scrivono “Spartacus” e immaginano il gladiatore con il ciuffo impomatato di Kirk Douglas. I russi hanno quasi sempre il problema della morale, del tormento interiore, aspirano alla verità, dipenderà forse dal clima? I sudamericani scrivono per metafore, sono affascinati dagli aspetti magici e simbolici, discendono tutti dai Maya e dagli Atzechi. Certo, sto generalizzando, ma si fa pour parler

giovedì 18 maggio 2017

Essere uno scrittore di (in)successo e vivere felice

Segnalo anche qui un articolo che ho scritto per Libricity Group.


“Uno su mille ce la fa…”, cantava il Gianni Nazionale in uno dei suoi brani più famosi. Ma che vuol dire farcela? In ambito letterario significa poter vivere di scrittura, costruirsi una reputazione tale da garantirsi un editore disposto a investire in distribuzione e promozione per ogni nuovo libro... (continua a leggere)

venerdì 12 maggio 2017

Recensione: 3A Investigazioni - Indagine a Rocca Vertunno di Ariano Geta


Il detective Andrea Arcani ne ha combinata un’altra delle sue e, per sottrarlo alle ire dell’influente e infedele prepotente di turno, la famiglia decide di esiliarlo per qualche tempo, in attesa che si calmino le acque.
Il Marlowe de noantri non si rassegna al riposo forzato e accetta l’incarico di  un arricchito cafone di provincia per investigare sugli atti vandalici che colpiscono il cantiere della sua faraonica villa in costruzione nel fantomatico paesino di Rocca Vertunno.
Scoperti gli autori degli attentati il nostro dovrà partecipare al piano per blandire un integerrimo ispettore delle Belle Arti, deciso a bloccare i lavori in corso.
Fra tragicomiche avventure e l’incontro con una sua vecchia fiamma, il detective riuscirà a portare a termine con successo il suo compito.
In questo secondo capitolo il personaggio di Andrea cresce di spessore e umanità, mostrandosi meno sprovveduto e indolente di come era apparso nel precedente libro; non si fa fatica a empatizzare con lui, perdonandogli anche i difetti tipici di un trentenne viziato ed egocentrico.
Come suo solito l’autore sceglie la cifra dell’ironia e del sarcasmo per mettere alla berlina i piccoli e grandi maneggi dell’italiano medio, dipingendo un ritratto impietoso quanto, ahimè, realistico della nostra società.

Aforismi #60


martedì 9 maggio 2017

Recensione: L'Artefatto di San Michele: Progetto Abduction file 3 di Riccardo Pietrani


Terzo capitolo della saga Abduction (rapimenti alieni, per chi non lo sapesse), che consiglio di leggere dopo i primi due. Le vicende di un impiegato di banca e del suo amico complottista si intrecciano a quelle di un mercenario reclutato dal suo vecchio ufficiale superiore, passato dai Delta Force ai servizi segreti. Ci sono di mezzo la ricerca di manufatti provenienti da altri mondi e i missing time, già incontrati nel primo romanzo della serie. Ritroviamo anche Marzia, che nel precedente “La caccia” era una superficiale e fedifraga impiegata interessata solo alla moda, ora divenuta un elemento chiave nella lotta fra i cosiddetti Traditori e i Cacciatori, due fazioni impegnate a contendersi i segreti di un possibile Incontro Ravvicinato del Quarto Tipo…
Riccardo Pietrani gioca abilmente dosando rivelazioni e nuovi enigmi che lasciano al lettore la voglia di scoprire come andrà a finire, cosa che avverrà, forse, nel prossimo episodio.


mercoledì 3 maggio 2017

Recensione: Anche stanotte dormo solo di Emanuele Pieroni


Una raccolta di racconti a tema vario.
“Ombre” è la storia di una rivalsa: un bambino deriso ed emarginato diventa un adulto di successo ed ha l’occasione di prendersi la rivincita su chi gli aveva predetto una vita di fallimenti e, soprattutto, di far pace con se stesso.
"L’anziana signora che chiamava Lulù” parla della particolare amicizia che nasce casualmente fra un’anziana signora e uno scrittore fallito costretto a sbarcare il lunario lavorando come fornaio.
In “Bianche orchidee” un ladruncolo crede di aver fatto il colpo della vita, ma quando si rende conto di essere caduto in trappola è ormai troppo tardi.
“Al calar del tramonto”; la perdita della persona cara può spingere un uomo a decisioni estreme.
In “C’est la vie” un black-out notturno avrà conseguenze imprevedibili.
“I prescelti” racconta di vita e morte in una claustrofobica prigione…
Ho apprezzato lo stile dell’autore, soprattutto nei primi due racconti, quelli più lunghi, “Ombre”, in particolare, che è quasi un romanzo breve, ma anche gli altri contengono elementi e riflessioni interessanti.


Recensione: Come una bolla di Giovanna Avignoni


Anna non è più una bambina e non è ancora una donna, in una estate fatidica si trova ad affrontare le problematiche della crescita, perdendo anche il conforto della sua amica del cuore Carla, partita per le vacanze.
Nonostante l’affetto dei genitori e della nonna, la ragazza si rinchiude in una muta solitudine, incupita da vividi incubi notturni; uno strano omino dalla testa “come una bolla trasparente” appare spesso nei suoi sogni, insieme ad altri strani personaggi che tracimano dalla dimensione onirica nella sua vita reale, chiare metafore delle paure e le domande legate all’adolescenza.
Giovanna Avignoni fa ancora una volta centro con questo romanzo di formazione, grazie alla prosa fluida e precisa e all’ottima introspezione della protagonista. Un libro coinvolgente per giovani e adulti.