giovedì 1 novembre 2018

THE COVER EXPERIENCE Pt. 2 di Nathan K. Raven

Altro giro, altra corsa. Dopo The Cover Experience Pt. 1 (che trovate qui), ospito nuovamente sul mio blog Nathan K. Raven (per sapere chi è Nathan cliccate qui) che diquisisce sulla realizzazione della copertina del secondo volume dedicato alle avventure di Spazz-Never. Ecco le parole dell'autore, in tutto il loro splendore...

THE COVER EXPERIENCE, Take Two

L’inizio del 2014 è stato un tornado sulla quantità di lettori e di riflesso anche sulle vendite. Rob e io - e quando dico Rob e io intendo in questo caso più Rob che non io – insomma, Rob e io avevamo trovato il modo di scamparla grazie a una copertina quasi oltraggiosa, capace di invertire la rotazione di quel tornado e di mandarlo affa… Fa troppo caldo ultimamente, no? Il surriscaldamento globale è il colpevole. Dicevo, affanculo.

Eh? Ma come?! Chi mai oserebbe scrivere la parola “affanculo” in articoli dove non ci si aspetta la parola affanculo, rischiando di essere mandato affanculo da tutti quei benpensanti che odiano leggere affanculo? Chi?! Nathan K. Raven, ecco chi.

E così avevamo trasformato una sicura catastrofe in un caldo e bellissimo giugno. Tanto bello che ci avevamo preso gusto e ormai sulle copertine e altri aspetti non si faceva altro se non scherzarci. Un caso per tutti, la mitica copertina della Jappo Edition de Le mirabolanti avventure di Spazz-Never. A un tratto eravamo samurai occidentali alla conquista di un Giappone armato di missili intelligenti kamikaze senza famiglia e quindi senza niente da perdere. Andò benissimo. La prima copia la comprò l’imperatore, si fece un bel po’ di Jappo risate – così scrive il biografo imperiale – poi emanò un editto con il quale proibiva non solo la lettura, ma anche la semplice menzione del mio libro e del mio nome. La prima copia è stata anche l’unica. E andiamo!

Con un successo così strepitoso, c’era da aspettarsi il peggio. E si sa, al peggio non piace deludere la gente. Se lo aspetti, lui viene. Due volte, nel mio caso. E senza nemmeno un invito a cena, dei fiori, chessò, un cinemino. Niente.

     HERE COMES TROUBLE. DOUBLE TROUBLE.

A quel punto cercavo di sfuggire a tutti quei Ninja imperiali, che non avevano intenzione di insegnarmi ad amare o di svelarmi la ricetta segreta per un sushi da paura – eh, no! Visto? ‘sti Ninja di oggigiorno custodiscono segreti come pochi. E dire che quando li ho visti sguainare le spade e tirare fuori gli shuriken mi sono detto “Evvai! Sushi!” invece no, volevano discutere. A rasoiate e occhiatacce. Avrei detto imprecazioni, ma i Ninja sono silenziosissimi. Eppure riescono a essere così maleducati quando ci si mettono, fateci caso, sta diventando un problema sociale!

Io tentavo di evitare i loro strani e silenziosi inviti a cena, mentre dall’altra parte c’erano tutti quei lettori che mi chiedevano di scrivere un seguito. Anche in questo caso, e a meno che non si trattasse di minacce, non erano richieste verbali, utilizzavano piuttosto un linguaggio fisico ricco e variegato in fatto di lemmi, legnate e dolori. 

Cosa ho pensato? Qualcosa del genere:

«Ma che vogliono questi?! Sono passati SOLO quattro anni!»

Incredibile, ragazzi! Uno non può nemmeno più gigioneggiarsi in una vita fatta di cazzate, sesso, alcol e scelte sbagliatissime che all’improvviso, dopo pochissimo tempo e senza fare nemmeno ‘ciao’ con la manina ti chiedono pure di lavorare!

Poi mi sono ricordato che, in fondo, al secondo episodio ci stavo pensando da parecchio. Con il primo avevamo preso un bel martello da carpenteria, il classico “martellone da chilo” che di chili ne pesa di più. Lo avevamo sollevato e posato su quasi tutti gli aspetti del libro con la delicatezza di un fabbro ferraio che scopre di aver finito la birra. Avevamo creato un punto di rottura con la tradizione, un “guarda che cosa si può fare con la penna e un pizzico di faccia tosta”.

Era quella la direzione anche per il secondo? Quasi certamente sì. Ma scelsi di no. Conservai la faccia tosta, ma non il pratico tappino dosatore del vasetto. Quindi niente pizzichi, camionate. Valanghe. Io che sbatto il fondo del vasetto con veemenza, urlando maledizioni in giapponese antichissimo per atterrire i Ninja.

Il resto sarebbe stato pura innovazione e improvvisazione creativa, a cominciare dalla struttura con i suoi archi narrativi che riprendono e ampliano un certo capitolo mai narrato nel primo episodio. Un arco narrativo inverso uncinato, infilato in una percezione amplificata del nostro buon errore. Ok, eroe. Una cosa che guarda, nemmeno sto a spiegartela come ho potuto concepirla, a metà tra la folgorazione illuminante e la permanenza di necessità in bagno quando tolgono la corrente. Accade sempre più spesso, fateci caso, sta diventando un problema sociale!

E con ogni probabilità non è nemmeno l’elemento migliore del Double Trouble. Sì, era quello il titolo a cui ho pensato fin da subito. SPAZZ-NEVER: Double Trouble. Perché era il secondo episodio, perché adoro i film con Bud Spencer & Terence Hill, perché i nostri soggettoni avrebbero dovuto affrontare il doppio dei problemi cui erano abituati. Perché sì. 

Insomma, tutto bello, tutto molto interessante – se sei fatto di crack – tante belle idee, folgorazioni, permanenze all’oscuro, problemi sociali. Per fare un dispetto ai Ninja sono stati aggiunti perfino dei samurai. Ma come comunicare tutto questo al buon Roberto – che, lo ripeto, immagino cattivissimo – come arrivare a una copertina che esprimesse lo spirito del libro? 

L’idea per il titolo ce l’avevo, limpida e cristallina. Mi immaginavo già la scritta SPAZZ-NEVER, bella grande, a caratteri cubitali e su due livelli, per rompere anche a livello grafico con il primo episodio. In mezzo ai due livelli avrebbe dovuto trovarsi la scritta Double Trouble a caratteri molto meno cubitali. Più piccola, subdola, a spaccare in due il nome Spazz-Never proprio come la serie di indicibili eventi che gli capiteranno tra capo e collo. Boom! Funzionava.

Colore giallo quasi come il primo, ma più vivo con in più un bellissimo effetto realizzato da Rob su questa indicazione:

«Fammelo tipo a macchie di ruggine all’interno, ma con un colore che ricordi più il sangue.»

Nemmeno io so cosa mi passa per la testa. Onesto. Però il titolo c’era, e che stile! A metà tra la tamarrata di classe e il wtf studiato bene. Una specie di Tango&Cash ambientato a Twin Peaks, girato come Quei bravi ragazzi, però da un cineasta un po’ alle prime armi, seppure molto appassionato.
Ecco, la nostra era la scritta della locandina di quell’ipotetico film.     

Ma la copertina per intero? Cosa metterci come immagine? E qui ci siamo impelagati per mesi. Siamo partiti dall’idea iniziale di metterci su i vari personaggi combinati insieme in posa eroica, un po’ per richiamare il discorso meta- fumetto fatto in precedenza. Se da un lato dopo un po’ abbiamo capito che era un modo per conformarsi al primo episodio, dall’altro i personaggi sono troppi per chiunque. 

Si è passati a ragionare per preponderanza di elementi, a partire dal protagonista, realizzando un ventaglio di carte di copertine sulle quali di volta in volta uno dei due era poco o per niente convinto. Mi venne poi l’intuizione, una copertina fedele allo spirito più oscuro del libro. E dopo diversi tentativi nemmeno troppo convinti come le cataste di teschi che facevano troppo Terminator 2, ho deciso per il teschio tatuato, elemento caratteristico della storia. 

Dopo la consueta fase di ritocchi e aggiustamenti, in cui Roberto ha dimostrato una pazienza disumana, avevamo le modifiche perfette per la copertina ideale, quella che sono sicuro sarà l’icona del Double Trouble negli anni a venire.

Ma non finisce mica qui! Un certo alone di sfiga stava pervadendo i fogli di carta, la sua aura madida di terrore trasudava, aveva appena infettato la realtà. Che cosa si muoveva nell’ombra? Quale pericolo si può nascondere in una stamperia clandestina? E ancora non si era parlato di un terzo libro. 
(Continua... probabilmente)