sabato 21 luglio 2018

Recensione: I Beatles e la malinconia di Stefano Vestrini


Questo non è un libro sui Beatles, piuttosto è il racconto di una riconciliazione con il mito.
Tutti quelli della nostra generazione (io e Stefano siamo praticamente coetanei) sono beatlesiani, anche chi, come l’autore, per sua stessa ammissione, non lo è mai stato consapevolmente. Lo siamo di riflesso, nostro malgrado, per osmosi, perché la cultura, la società, anche nei sui aspetti più quotidiani e comuni, è stata influenzata e segnata per sempre da una stagione della quale i Fab Four sono il simbolo.
In un viaggio a Liverpool l’autore ripercorre le tappe fondamentali della genesi del quartetto: Strawberry Fields, Penny Lane, le loro case natali, l’ospedale dove nacque Lennon; una sorta di passeggiata della memoria in una periferia grigia e piovigginosa che odora di rispettosa leggenda.
Ogni libro non appartiene solo a chi l’ha scritto, diventa anche un po’ del lettore e io mi sono ritrovato nello stato d’animo di Stefano, in quello che racconta e in quello che evoca.
È una malinconia/nostalgia da personale album dei ricordi, cristallizzata in certe fotografie in bianco e nero con l’albero di natale e la scatola dei mattoncini Lego o delle gite domenicali dove tutto, dai vestiti al taglio dei capelli, riecheggia la beatlemania, nella psichedelia lisergica di Yellow Submarine, visto a sei-sette anni, come se fosse un qualsiasi altro cartone animato e invece era qualcosa di completamente diverso, nell’ascolto di melodie e parole, allora più incomprensibili e misteriose di oggi, che si sono sedimentate nel mio vissuto.
La forza dei Fab Four risiede in una trasversalità, nell’essere di culto e popolari, trasgressivi e rassicuranti, esoterici e di massa almeno quanto la loro musica, fuori dal tempo, moderna oggi come cinquant’anni fa; se c’è un classicismo nella musica pop è indubbiamente da ricercare nelle loro canzoni.
Un passo del libro è cruciale: i Beatles sono per sempre quei quattro ragazzi, la giovinezza, la loro e quella di un intero mondo, un’epoca in cui il futuro era intatto e carico di promesse, non importa tutto quello che è successo dopo, le incomprensioni e lo scioglimento, la delusione dei fans, la morte di Lennon e di Harrison, il tempo che passa, la vita vera fuori dai riflettori: rimane la loro immagine con le giacche e i cravattini neri, i capelli a caschetto, un’istantanea indelebile.
La narrazione spesso si concentra su Paul, forse perché della premiata ditta Lennon/McCartney è il solo ancora qui con noi, forse per affinità elettive, le quattro corde, intendo, forse per le ultime righe del libro: il Paul McCartney di oggi, in concerto che, per un momento, abbassa la guardia e ci rivela uno sguardo smarrito, quello di un ragazzo di periferia pieno di sogni, come se il successo, i soldi, la fama fossero ancora soltanto delle ipotesi di un futuro tutto da scrivere. C’è un cortocircuito con l’inizio del libro, la citazione di Yesterday, scritta da Paul a ventitré (ventitré!) anni. Yesterday, la più famosa e allo stesso tempo la più atipica canzone dei Beatles, parole e musica di pura nostalgia, rimpianto per un passato che non è solo quello del ragazzo di allora ma che appartiene a tutti noi, adulti di oggi.
A completare il racconto ci sono le belle fotografie di Enrica Lanzillotta, immagini di una Liverpool che sembra un museo della memoria.

Yesterday, all my troubles seemed so far away
Now it looks as though they're here to stay
Oh, I believe in yesterday


mercoledì 18 luglio 2018

Recensione: Spazz-Never: Double Trouble (SN Vol. 2) di Nathan K. Raven


Non è facile parlare di Spazz-Never: Double Trouble, non lo è per niente cercare di spiegare cos’è questo romanzo a chi non l’ha letto, forse neanche a chi ha letto il precedente capitolo dedicato all’eroe della Calìfoggia (qui la mia recensione). Non è semplice perché descrivendone trama e stile come se fosse un qualsiasi altro libro c’è il rischio di sminuirlo, di farne risaltare la componente ludica superficiale a scapito di una più profonda, un sottotesto che emerge piano piano, pagina dopo pagina, quasi come se l’autore avesse voluto abilmente celarlo sotto un cumulo di cazz… divertissement, sempre in bilico fra la grezza battutaccia e la raffinata facezia lessicale. 
Sarebbe sbagliato relegare questo libro nella categoria umorismo, in realtà è un romanzo d’avventura, poco importa se i protagonisti sono gli scarti dell’universo supereroistico, i corrispettivi sfigati dei cinecomic del terzo millennio, la trama è densa di azione, di pathos, con un occhio di riguardo all’elegia dei buoni sentimenti, dell’amicizia, del gioco di squadra, dell’accettazione del diverso. Sicuramente la narrazione di Nathan K. Raven vive di contrasti, certo si sorride, talvolta a denti stretti, scoprendo i rimandi alla nostra schizofrenica contemporaneità, si ride per i nonsense buttati a palate come se non ci fosse un domani, si riflette per una considerazione esistenziale messa lì, quasi a casaccio (e non per caso) fra uno sberleffo e l’altro.
In Double Troble tutto è metafora, simbolo, dalle arti marziali al football, dalla lavatrice all’apecar, dagli alieni alla maschera di Driven Girl, specchi deformati di una società bizzarra e caotica, la nostra, quella di tutti i giorni.
Nonostante queste premesse un breve accenno alla trama è comunque doveroso.
La prima parte del libro è un percorso di formazione del nostro improbabile eroe, una crescita che ne rivela sfaccettature sconosciute al “vecchio” spalatore di neve, lo rende un personaggio più completo, più maturo, pur lasciandone inalterato lo stile di vita basato sull’improvvisazione, l’arroganza e il tifo per gli Schiappers. Proprio il risultato di una partita di football che va contro ogni pronostico scatena conseguenze catastrofiche per tutta l’umanità che trovano sviluppo nella seconda parte, dove  Spazz-Never concede gran parte della scena ai comprimari, personaggi improbabili, assurdi, demenziali ma più umani di molta gente che si incontra quotidianamente su facciachiapp… ehm, facebook.
Il finale conclude questa storia ma, probabilmente, non le avventure del califoggiano più temuto dalle stalattiti.
Molti ameranno questo romanzo, alcuni lo odieranno, ma nessuno lo userà come zeppa per un tavolo traballante (anche perché è un ebook…), io consiglio di leggerlo e di entrare nel mondo geniale e un po’ folle (perché no?) di Nathan K. Raven.


giovedì 12 luglio 2018

Consigli di lettura per chi ha Amazon Prime

Da pochi mesi è disponibile anche in Italia il servizio Prime Reading, una selezione di ebook gratuiti per chi ha l'abbonamento a Amazon Prime. Olte a libri famosi ci sono parecchi volumi di scrittori self-publishing o editi da CE poco conosciute, ve ne propongo alcuni che ho letto o dei quali conosco l'autore tramite altre opere, oppure che mi sono sembrati interessanti per argomento e recensioni. Cliccando sul titolo o sulla copertina andrete direttamente allo store online.

La notte delle falene di Riccardo Bruni
Genere: thiller



Il vampiro di Venezia di Giada Trebeschi
Genere: Giallo storico



Sigmund Freud si Marco Bonfade
Genere: Fumetti



Genere: manuali



Cinque anni in Iraq di Wally G. Fin
Genere: Biagrafie, viaggi



Credici (#Creed1) di Keihra Palevi
Genere: romance, avventura



Genere: dark fantasy



Genere: Thriller, romance



Venerdì 17 di Dominique Valton
Genere: thriller



L' Intruso: E altri racconti di Sergio Bertoni
Genere: racconti



Racconti sensazionali di Hiroshi Miura e Ariano Geta
Genere: racconti



Per finire (piccolo spazio pubblicità) consiglio anche il mio.
Il primo a tornare fu il cane di Roberto Bonfanti
Genere: racconti


Naturalmente ce ne sono molti altri, se qualcuno vuol dare dei consigli può postarli nei commenti.
Buona estate e buone letture.




venerdì 6 luglio 2018

Intervista a Armando Marchetti

Per lo spazio interviste incontriamo Armando Marchetti, autore del romanzo “Come Formiche in Fila”. Qui la mia recensione.


1. Ciao Armando, benvenuto sul mio blog. Vuoi dire qualcosa di te ai miei lettori?
Ciao, Roberto, grazie a te per avermi invitato! Sono sempre un po’ in difficoltà a descrivermi così su due piedi, ma proverò comunque, a rischio di sembrare didascalico o, peggio ancora, uno di quei tizi usciti da The Club: sono un ragazzo di 32 anni — devo ancora compierli, ma lo dico già almeno mi abituo — e sono cresciuto in Toscana (dove vivo tuttora) alimentato dalla passione per le storie e tutto ciò che permette di raccontarle: quindi il cinema, la musica, la scrittura.

2. Come ti sei avvicinato alla scrittura? Ci sono degli autori che ti hanno influenzato, o che semplicemente ti piace citare come i tuoi preferiti?
Non saprei dirlo con esattezza. Mia madre mi ha sempre regalato molti libri perché ero un lettore scatenato da piccolo (ora sono assai più pigro, purtroppo): amavo leggere per conto mio, in qualsiasi momento, anche a tavola (cosa per cui venivo spesso sgridato), ma mi piaceva tantissimo anche farmi leggere i libri da mio padre, che usava voci diverse per ogni personaggio e mi faceva immergere nelle storie in modo unico. Normalmente divoravo roba tipo Roald Dahl o Domenica Luciani, ma grazie a mio padre conobbi Stephen King, Michael Crichton, Mark Twain, Robert Louis Stevenson e Harper Lee. Non solo mi piaceva leggere, ma anche scrivere: i temi di italiano erano i miei preferiti, a scuola. Coglievo sempre l’occasione per narrare storie, e fu un trauma al liceo, quando la professoressa mi fece gentilmente capire che dovevo iniziare ad abituarmi a fare saggi brevi e roba del genere (la cui utilità mi risulta tuttora pressoché incomprensibile – trovo molto più utile la scrittura creativa). Insomma, le avventure, le storie di ragazzi, la paura, i misteri, la fantasia radicata nella realtà sono qualcosa che mi ha da sempre affascinato (non c’è da meravigliarsi che poi mi sia tuffato a candela nella saga di Harry Potter), e questo bagaglio costruitomi sin dall’infanzia mi è servito per iniziare a scrivere, scimmiottando (spero) sempre meno ciò che leggevo e imparando (credo) sempre di più. Per la mia pigrizia da lettore fatico quindi a nominare autori preferiti, ma decisamente mi hanno influenzato Stephen King, Harper Lee, Ian McEwan, Niccolò Ammaniti, persino Daniele Luttazzi per il lato comico/grottesco e, perché no, anche Paolo Sorrentino per le pontificazioni sul nulla. Ultimamente, poi, mi sono innamorato di Gillian Flynn. È una scrittrice lucida, dalla penna veloce, spietata. Davvero una bella sorpresa. Sento di poter imparare molto da lei; in più, trovo stimolante il punto di vista femminile, mi piace avventurarmi in un’ottica lontana da me. Ne farò tesoro.

3. Parliamo del tuo romanzo, “Come Formiche in Fila”.  Nella mia recensione ho scritto che è difficile inquadrarlo in un filone preciso, al di là del generico “letteratura contemporanea”, tu che ne pensi?
Sono d’accordo, e non lo dico per tirarmela, della serie "cioè, il mio libro è unico, non si può classificare" (da leggere con l’intonazione di Verdone quando fa l’hippy). Ci sono tantissimi elementi che ho voluto portare avanti in questa storia: la componente nostalgica è dovuta al mio attaccamento all’infanzia e ai suoi luoghi, ma non potevo certo trascurare il lato thriller/horror (è King che si fa sentire), né quello drammatico (dopotutto si parla anche di lutto e perdita) o quello comico (per mia natura, sono da sempre abituato a stemperare la tristezza con l’umorismo). Per questo quando mi si chiede "ma di che genere è il tuo libro?" esito sempre, perché se lo definissi solo una commedia, o solo un dramma, credo che gli farei un torto. E ripeto, non lo dico perché penso di essere un ganzo, ma perché ci sono effettivamente più ingredienti, più “strati”. Potrei anche definirlo un romanzo di formazione a tinte drammatiche mascherato da horror, ma allora sì che sembrerei uno che se la tira.

4. Dalle note e dalle pagine del tuo libro viene fuori una forte componente autobiografica. Le persone che hanno ispirato i personaggi e le vicende narrate lo hanno letto? Che reazione hanno avuto?
La componente autobiografica è innegabile ma non si tratta di un’autobiografia vera e propria. È come se avessi ingaggiato come “attori” dei miei amici. Quindi le facce sono le loro, ma gli eventi sono in gran parte romanzati. Coloro che hanno ispirato i personaggi (eccetto mio cugino che lo ha letto in corso d’opera) ancora non hanno finito di leggere il libro; ovviamente conoscendo i protagonisti, i luoghi e certe vicende, l’impatto della lettura è singolare. I protagonisti hanno partecipato alla prima presentazione del libro, e si sono divertiti un mondo ad ascoltare certi estratti (soprattutto quello delle costruzioni nel bosco, accaduto veramente). L’unico tra i personaggi principali che ancora non ha letto il romanzo è quello femminile, ma è sotto tesi, la perdono. Ad ogni modo sa di cosa parla e sa di essere tra i personaggi, e mi ha dato il suo benestare per pubblicarlo (prendendomi in giro per le mie paranoie al riguardo).

5. Hai pubblicato con una piattaforma di self-publishing, scelta consapevole o ripiego?
Un po’ tutt’e due forse, ma sarebbe brutto definirla un ripiego. Il libro è stato scritto in modo non continuativo: il periodo più costante di scrittura è stato dal 2012 al 2015, ma non scrivevo tutti i giorni. Sono partito senza sapere bene dove sarei andato a finire, ma a un certo punto sapevo esattamente quale sarebbe stata la struttura del romanzo, semplicemente non avevo voglia di scriverla. Ho dovuto convogliare e incanalare la scrittura nei momenti di ispirazione massima. Dal 2015 ho passato quasi un anno a correggere e rivedere il tutto, e poi lo ho mandato a moltissime case editrici: ho atteso risposte invano, e mano a mano che il tempo passava mi sembrava di lasciar “marcire” una storia che aveva bisogno di essere lasciata libera di camminare con le proprie gambe. Allora mi sono buttato nel self-publishing, approcciandomici con lo stesso spirito con cui faccio musica con la mia band indipendente, promuovendomi da solo, con le mie forze.

6. Quali sono, secondo te, i pro e contro dell’essere un autore indipendente?
C’è molta insofferenza per gli scrittori self-published, cosa che non esiste in musica, e capisco per certi versi il perché: purtroppo fare musica richiede un po’ più di competenze, mentre chiunque può aprire Word e scrivere un “romanzo”. Questa cosa ovviamente dà modo di pubblicare opere discutibili a scrittori incapaci, che scrivono in caps lock, senza punteggiatura e senza cognizione di causa. È come se i peggiori siti di fanfiction avessero accesso ai digital store. Terrificante, se ci si pensa, però non comprendo l’odio a prescindere. Il dire «se hai pubblicato indipendentemente non sei uno scrittore» per me è assurdo. Con la mia band ho fatto due dischi ed è vero, non abbiamo un’etichetta: però non capisco perché questo non faccia di me un vero musicista o un cantante. Anche in musica ci sono gli incapaci, ma non vedo il problema: se fanno pena, li ascolteranno giusto quelle tre persone che non hanno il cuore di dir loro di ripartire da capo. Autopubblicarsi per i giovani musicisti è la prassi: voglio dire, è il 2018, abbiamo a portata di mano in tempo reale qualsiasi nuova uscita su Spotify. Non so dire se sia positivo o meno, ma è innegabile il fatto che non si possa affrontare la diffusione dell’arte come trent’anni fa. Il self-publishing ha come vantaggio una maggiore gestione e controllo del prodotto, e percentuali maggiori di guadagno, però ovviamente ci sarà assai poca diffusione e pubblicizzazione: è lì che uno si deve fare la gavetta, promuovendosi e facendosi conoscere. È come buttarsi e andare a far concerti mettendo il naso fuori dal garage di casa. Per ora ho fatto solo una presentazione ed è andata meglio di quanto pensassi: sto programmando di farne altre, muovendomi con cautela per evitare invenduti e mosse azzardate. Per quanto riguarda il mio gruppo, qualcosa col self-publish è accaduto: non avrei suonato in giro per l’Italia e non avrei venduto dischi in Europa, Canada e Stati Uniti se fossi stato fermo ad aspettare per decenni che mi rispondesse la Warner, o magari qualche etichetta da quattro soldi che vuole solo lucrare. Ecco, se c’è un grosso problema di cui parlare, non è chi scrive e si pubblica da solo, ma chi si affida agli editori a pagamento. Quelli sono una vera piaga. In quel caso faticherei a definirmi scrittore, perché avrei pagato qualcuno per pubblicarmi. Ho ricevuto un bel po’ di lettere copiaincolla da “editori” simili. Piuttosto vado alla copisteria che mi ha stampato la tesi di laurea, e pago loro (anche se mi hanno già preso troppi soldi). 

7. Oltre che scrittore sei un musicista e un filmmaker. C’è un travaso di queste esperienze artistiche nella tua scrittura? Secondo me sì, leggendo il tuo romanzo, ma vorrei sentire la tua opinione.
Decisamente sì. Molti mi hanno detto che leggermi è come vedere un film, e sono conscio di scrivere in modo cinematografico, come se stessi girando uno dei miei cortometraggi che ero solito fare con gli amici. Girare e editare sin dalle medie è stata senz’altro una cosa che mi ha temprato e mi aiuta molto nella stesura di una storia, visualizzandone le scene, i punti di vista, gli snodi, i tempi di narrazione, come se stessi montando immagini su pellicola. La cosa buffa è che questo romanzo è nato nella mia testa proprio come un film che volevo girare, ma era un progetto talmente complicato che è finito nel dimenticatoio insieme ad altri: la scrittura del romanzo è stata capace di fornirmi tutto il budget del mondo, a portata delle mie dita appoggiate sulla tastiera del computer. È stato un modo per dare dignità e forma a una storia che probabilmente girata con pochi mezzi sarebbe stata una pacchianata terribile. Per quanto riguarda la musica, amo inserire componenti sensoriali forti mentre scrivo, e scrivere ascoltando brani di ogni tipo, dalla classica all’ambient, dal pop punk al metal. È come donare una soundtrack al film che si sta girando.

8. Come ti relazioni con i social network, relativamente alla tua attività di scrittore?
Uso molto Facebook e Instagram per dare una forma “visiva” al romanzo, condividendo immagini suggestive, estratti, clip video e roba così. Oggigiorno la presenza in rete è importante. Ho persino realizzato dei book trailer (clicca qui per vederlo) per introdurre i potenziali lettori all’atmosfera del libro. Purtroppo ora come ora gli algoritmi di Facebook penalizzano un sacco le pagine artista, quindi la cosa migliore è senz’altro parlare della propria opera sul profilo personale, sui gruppi di scrittura e (soprattutto) faccia a faccia. Ed è lì che vien fuori l’importanza di presentare il proprio libro: sembra un salto nel buio, ma è come quando togli le rotelline alla bici. Quello che ti aspetta sarà senza dubbio un concentrato di croste sulle ginocchia e sui gomiti, almeno all’inizio, ma vuoi mettere l’adrenalina quando inizi a capire come sfrecciare senza paura, col vento in faccia?

9. Hai rapporti con “colleghi” scrittori? E se sì, come sono?
Conosco alcuni ragazzi della mia età che scrivono, ma la maggior parte dei rapporti con i “colleghi” li sto avendo tramite i gruppi di scrittura su Facebook. Molti sono purtroppo delle specie di bacheche dove ognuno bada al suo orticello spammando copertine di romanzi rosa a 99 centesimi su Amazon con titoli e progetti grafici da far rabbrividire, ma se uno aguzza la vista può trovare piccoli gruppi contenuti, dove il confronto e la discussione avvengono in modo civile e costruttivo. Ho conosciuto molti colleghi in questo modo (compreso te, Roberto) e devo dire che è stata e continua a essere un’esperienza davvero molto piacevole.

10. Cosa pensi dell’ebook e quale prevedi che sarà il suo peso nell’editoria nel prossimo futuro?
Ho letto libri sia in formato ebook che kindle, e credo che la presenza del digitale nell’editoria sarà sempre maggiore, ma il cartaceo è assai più difficile da soppiantare che il cd. Ora nemmeno più le auto o i pc hanno il lettore compact disc, ma il libro stampato è un qualcosa di più stabile, basti pensare alla quantità di supporti audio esistenti sin da prima dello streaming online. Vinile, musicassetta, minidisc, mp3; solo nell’ambito video abbiamo avuto nel giro di pochi decenni Super8, Betamax, VHS, LaserDisc, DVD, HDDVD, BluRay, BluRayUHD… Voglio dire, il cd esiste solo dagli anni ’80, e la stampa dalla metà del ‘400 (almeno in occidente): credo che durerà ancora a lungo. Personalmente, leggo ebook o kindle solo per comodità, magari per avere a portata di mano qualcosa da leggere quando sono in giro e ho dei “buchi” di tempo (tipo alle poste o in stazione), senza starmi a portare tremila volumi. Ma l’odore della carta è tutto un altro mondo, c’è poco da fare.

11. Come valuti il riscontro dei lettori riguardo al tuo romanzo? 
Per ora i pareri e le recensioni che ho avuto mi hanno dimostrato quanto bene i lettori abbiano recepito ognuno degli elementi che ho sepolto tra le righe del romanzo: è stato apprezzato l’umorismo anche senza conoscerne molti elementi, il citazionismo ha portato alcuni a conoscere nuova musica o nuove cose, le parti più oniriche o sofferte hanno smosso qualcosa nei lettori anche se le esperienze erano diverse, e i brividi sono arrivati esattamente nei punti che mi hanno tolto il sonno mentre scrivevo. Una delle recensioni che più mi ha sconcertato è stata quella di una signora di cinquant’anni: mi ha detto che non conosceva quasi niente della cultura pop della mia generazione, ed essendo una donna con una figlia femmina, il mondo maschile le era praticamente ignoto. Eppure è stata inghiottita dalla storia, si è identificata nelle vicende, dalle più buffe alle più strazianti, ha imparato molto dei maschietti e ha fatto paralleli con la sua vita, così diversa dalla mia eppure paradossalmente simile. “Voglio che si sappia che questo libro non è adatto solo a un’età”, ha detto alla mia presentazione: ero molto emozionato, e lo era anche lei, soprattutto perché aveva appena incontrato alcuni dei personaggi in carne e ossa. “Mi sembrava di conoscerli già”, mi ha confidato. Un’altra persona mi ha rivelato di essersi ritrovata nelle parti del romanzo in cui si lambiscono temi come la depressione, dicendomi che erano talmente accurate da far male. La cosa strana è che non sono mai stato in depressione, nel senso clinico del termine. Eppure ho trasmesso qualcosa, ho come trovato un “ponte” tra me e persone con storie diverse dalle mie. Cose del genere mi lasciano a bocca aperta, e mi fanno pensare che forse qualcosa di buono l’ho fatto.

12. Quali sono le tue aspettative, riguardo alla scrittura?
Non ho grossissime aspettative, ma non mi demoralizzo. Cerco di mantenere i piedi per terra. Dopotutto sono ancora all’inizio di un percorso: vorrei fare più presentazioni per far conoscere la mia creatura di carta e inchiostro, quello sì. La prima è stata una sorta di test: l’ho fatta nel luogo dove sono cresciuto, dove ho studiato e dove gran parte della storia è ambientata… era il giusto modo per far nascere definitivamente il libro. Adesso ha bisogno di incontrare nuove persone, e uscire dal luogo sicuro che l’ha visto nascere. Il responso è stato positivo e le vendite soddisfacenti, seppur in piccolo, ma vorrei fare di più. Nella vita mi occupo di un sacco di cose: compongo colonne sonore, giro videoclip, collaboro con uno studio di registrazione e con un canale youtube di cinema, quindi a volte mi dedico “a turno” a ognuna di queste cose. Ma il percorso di Come Formiche in Fila è appena iniziato, e non ho intenzione di fermarmi.

13. Hai progetti in corso in questo momento?
Ho un altro libro in cantiere. Il titolo c’è già, ma non lo dico perché forse lo cambio (c’è già un altro libro che si chiama così). Buffo a dirsi, anche questa storia nasce da una sceneggiatura di un film amatoriale mai realizzato. Anch’essa ha molti personaggi, ma forse stilisticamente è meno variegata di Come Formiche e più “focalizzata” e compatta, soprattutto come scrittura. Diciamo che, se Formiche è definibile come una storia d’infanzia apparentemente “leggera” con un’inaspettata svolta drammatica, il mio nuovo romanzo sarà complementare: una storia cupa e apparentemente senza speranza, ma con una luce visibile in fondo al tunnel. Non so ancora come mi muoverò per la pubblicazione: vorrei riprovare a sondare il terreno con altre case editrici. Ce ne sono molte anche piccole ma con un gran cuore, e non mi vanto certo di averle contattate tutte. Senza dubbio mi piacerebbe però spingermi più in là che posso con l’autopubblicazione, per vedere fin dove sono in grado di arrivare con le mie mani. E poi ho già in mente il design della copertina, mi piacerebbe curare tutto il “pacchetto” come ho fatto per il mio primo romanzo, almeno all’inizio (ringrazio Antonella Pieraccini per il suo prezioso contributo stilistico – il fatto che sia mia madre non cambia il fatto che sia una graphic designer con i controfiocchi, di quelle che amano ancora sporcarsi le mani con matite, carta e colla). Non so bene come funzioni, ma credo sia possibile uscire sotto casa editrice anche se ci si è autopubblicati. Anzi, a quanto ho capito alcuni autori sono usciti alla ribalta con un editore grazie al successo in self. Ad ogni modo, c’è una cosa interessante da dire su questo nuovo romanzo che sto scrivendo: è ambientato nello stesso universo di Come Formiche. Non ci sono grossi collegamenti, le storie sono diverse, ma alcune comparse che si muovono sullo sfondo in Formiche saranno personaggi più importanti in quello nuovo. Niente di importante ai fini della vicenda, ma mi piace il fatto che si possa percepire un mondo più ampio dietro alle storie che racconto. Perché dopotutto, quel mondo c’è, ed è quello in cui ho vissuto finora.

Grazie per la chiacchierata Armando. Per finire vuoi dirci dove si può trovare il tuo libro?
Il libro lo potete trovare in formato sia digitale (ebook, kindle) che cartaceo sul sito di Streetlib a questo link: http://goo.gl/rvrUWk – oltre che sugli store più importanti come Amazon, iBooks, eccetera. Potete scrivermi in privato anche su Facebook o Instagram (@redishere) se volete ulteriori informazioni: qualcuno mi ha anche chiesto una copia con dedica (cosa che mi ha lasciato sbalordito). Finché non saranno terminate le copie che ho a portata di mano, sarò lieto di scarabocchiarvele (non troppo) e consegnarvele tramite corriere nel giro di pochi giorni. Grazie davvero in anticipo per il supporto e per la lettura, compresa quella di questa intervista, per la quale ringrazio di cuore te, Roberto. A presto!