Inauguriamo una serie di articoli scritti a più mani sul tema del self-publishing, iniziando col racconto di come ognuno di noi si è avvicinato a questo mondo.
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Conoscevo un solo tipo di libro: il libro di carta.
Avevo esperienza di pubblicazioni online ma, a dire la verità, pensavo fossero dirette ad un pubblico limitato o comunque indirizzate esclusivamente ad utenti navigati della Rete. Credevo, inoltre, che la letteratura digitale si potesse esprimere attraverso articoli, approfondimenti e archiviazioni virtuali che rimandassero inevitabilmente ai tomi conservati nelle biblioteche pubbliche e private.
Come conoscevo un solo libro, riconoscevo pure un solo scrittore, avendolo sempre immaginato intento a comporre le sue opere e mai affaccendato a darsi pena di promozione attraverso il Web.
A quei tempi, dunque, non avevo ancora maturato evidente esperienza in campo di editoria digitale.
Non mi riferisco a decenni or sono! No. Da allora sono passati soltanto due anni. Fu nella primavera del 2012, infatti, che iniziai a considerare con una certa curiosità quella strana modalità di divulgazione che chiamavano self-publishing, una sorta di pubblicazione fai da te o “in autonomia”, come mi piacque ritenerla qualche tempo dopo.
Iniziai con il leggere casualmente qualcosa su Internet. Non avevo carte nel cassetto in realtà, dal momento che le mie righe buttate qua e là non avrei mai pensato di destinarle ad una pubblica lettura.
La mia scoperta del self-publishing pertanto fu dettata né da interesse, quale poteva essere quello di pubblicare ad ogni costo, né da ripiego, vale a dire quello che può venire in seguito al rifiuto dei propri manoscritti da parte di case editrici.
Il self-publishing fu per me solo una rivelazione casuale.
Per questi motivi, mi accostai all’auto-pubblicazione in maniera molto serena, con poche aspettative ma parecchia curiosità.
Fu così che iniziai a far ricerche e a trovare notizie su notizie, rimanendo però sempre alquanto confusa. I dubbi erano numerosi. Tra le tante cose, non capivo bene la differenza fra la pubblicazione guidata da aziende editoriali che garantivano la diffusione in tutte le librerie online e la possibilità di fare tutto privatamente, senza passare attraverso nessun intermediario.
Fu proprio nel corso di queste mie ricerche che decisi, su motivato incoraggiamento da parte del consorte, di provare.
Riunii i miei appunti sparsi in un’antologia che volli mettere online da sola.
Avevo esperienza di impaginazione editoriale: realizzare il primo file non mi fu troppo difficoltoso, anche se oggi riuscirei a farlo più velocemente e con maggiore precisione.
La pubblicazione fu pressoché immediata. Credevo di essere arrivata. L’entusiasmo, però, svanì presto, quando mi resi conto che avere il libro sugli scaffali di una libreria virtuale è solo il primo passo.
Il mio libretto di poesie se ne stava lì, fermo. Mi resi subito conto che occorreva “presentarlo” al pubblico della Rete, altrimenti sarebbe rimasto dove lo avevo posizionato.
Non avevo la minima idea di come impostare un’azione di promozione.
Iniziai nuovamente a far ricerche, nella speranza di trovare altri autori dediti all’auto-pubblicazione. In Rete allora, incredibile, non c’erano molte comunità dedicate al self-publishing. Scoprii che anche altri, come me, avevano le stesse perplessità e cercavano colleghi con cui condividere le loro esperienze.
Una volta formato un primitivo e timido gruppetto su Facebook, i Pionieri appunto, imparammo a confrontarci in maniera pressoché quotidiana sulle varie problematiche che ci si presentavano.
Da allora sono passati due anni e di esperienze ne abbiamo fatte!
Concetta D’Orazio
La decisione di pubblicare alcuni dei miei scritti in modalità digitale e self è dovuta quasi al caso ed è senz’altro stata determinata soprattutto dal fatto che predisporre un ebook è un processo molto semplice (da un punto di vista informatico, intendo). Per essere sincera non ricordo né come né quando ho preso questa risoluzione, che è stata sostanzialmente improvvisa e contemporanea all'acquisto di un ebook reader (del 15 settembre 2013, come testimonia lo scontrino).
Appassionata di libri di carta, fino a quel momento non avevo mai nemmeno preso in considerazione gli ebook e se ho iniziato a documentarmi in modo sommario sui dispositivi di lettura è stato perché mi pareva opportuno stare al passo con i tempi.
Nonostante il fatto che editori tradizionali abbiano pubblicato alcuni dei miei romanzi per ragazzi (tuttora in commercio), qualcosa mi ha spinta a provare la strada del self-publishing: oltre alla semplicità cui ho accennato prima, la curiosità e il desiderio di dare ai miei testi, che per svariati motivi non interessano o non ho sottoposto a editori, una possibilità di essere letti.
Il primo ebook che ho pubblicato è una racconta di racconti uscita in edizione cartacea diversi anni fa, con una piccola casa editrice e con il mio contributo. Era venuto un libro carino, ma è stato letto solo da poche persone: quindi in pratica è stato quasi come se non fosse mai uscito dal mitico cassetto. Diventare l'editore digitale di me stessa mi è sembrata un'ottima occasione per aprire il cassetto e lasciar volare via i fogli scritti in esso contenuti.
La mia esperienza come autrice self è, quindi, molto recente. Per ora la trovo positiva, non tanto per le vendite, che dopo sei mesi raggiungono solo poche decine di copie, quanto per la totale autonomia nella realizzazione del libro e la possibilità di mettermi in gioco.
Un altro aspetto positivo è l'intrecciare rapporti, anch'essi virtuali, con altri autori self, con cui avere interessanti e stimolanti scambi di idee e di esperienze, per orientarsi in questo mondo che, in Italia, è ancora alquanto inesplorato.
Sono convinta che, sia pure non nell’immediato, l’utilizzo di testi in formato digitale e dei relativi supporti per accedervi si diffonderà e mi piace l'idea di partecipare attivamente, nel mio piccolo, a questo inevitabile cambiamento.
Antonella Sacco
Un recente post su Facebook del mio amico Silvio mi ha riportato indietro di 20 (venti!) anni, al 1994. Per completezza di cronaca dovrei spiegare chi è questo mio amico, in che rapporti siamo e un sacco di altre cose, ma questa è un’altra storia. Quello che conta è il contenuto di quel post e il significato che ha per me: ha pubblicato due immagini, presumo scansionate, che riproducono la copertina di un libro e la terza pagina dello stesso volume, con tanto di introduzione. Il libro si chiama “Tutto e niente”, è uscito giusto vent’anni fa e, in basso, sulla grigia e austera copertina, c’è il mio nome. All’epoca il volume uscì in tiratura molto limitata (ora non ricordo il numero esatto, qualche decina di copie) che regalai ad amici e conoscenti, fra cui il suddetto Silvio. Tralasciamo pure il contenuto del libro (racconti, poesie, cazzabubbole), in questo contesto quello che conta è la sua genesi: il libro non fu pubblicato da un editore, lo realizzai e stampai con l’aiuto di un gruppetto di persone che si occupavano di associazionismo, di cultura, di scrittura (e di altre cose) in maniera piuttosto amatoriale. Loro avevano una stampante laser molto veloce e adatta a grossi volumi di stampa, l’evoluzione del ciclostile, che io potei utilizzare come una sorta di “print-on-demand“ ante litteram… quindi, a tutti gli effetti, si tratta di auto pubblicazione. Chi mi conosce sa che fra i miei difetti la presunzione non è quello principale, ma, in questo caso, non riesco a reprimere un moto di orgoglio e affermare che sono stato un precursore, un autore self prima del self-publishing.
Dopo questa botta di autocelebrazione cerco di tornare a cose più attinenti all’argomento di questo articolo, magari questa storiella la terrò da parte per raccontarla ai nipotini, un giorno.
Per me la scoperta del self-publishing “moderno” è una conseguenza dell’incremento della mia produzione letteraria, ho sempre scribacchiato qualcosa, ma negli ultimi anni sono diventato più prolifico. Nel 2010 ho scritto il mio primo romanzo, l’anno successivo il secondo e una raccolta di racconti, e così via. A un certo punto ho sentito nuovamente l’irresistibile richiamo di ogni scrittore, o presunto tale, cioè quello di diffondere le mie straordinarie opere. Considerando la rivoluzione digitale degli ultimi vent’anni, questa volta ho cercato su internet un modo per poterli stampare a basso costo e, dopo varie valutazioni, mi sono indirizzato su Lulu (uno dei più diffusi siti di print-on-demand, appunto). Ho realizzato alcune copie dei miei libri, anche queste le ho regalate e la cosa sarebbe finita lì, se non si fosse messo di mezzo, ancora una volta, lo sviluppo tecnologico. Sono sempre stato un vorace lettore, ho bisogno di libri, sempre e comunque, è naturale che a un certo punto sia stato incuriosito dall’ebook reader, una volta entrato in possesso di uno di questi “cosi” la conseguenza è stata la scoperta di amazon (appena sbarcato in Italia) e di tutto quello che ne consegue. A ottobre del 2013 ho fatto il grande passo e, spinto da quel richiamo di cui parlavo prima, mi sono lanciato in questa avventura: da allora ho pubblicato un… ehm, due… no, ben sei ebook con Kindle Direct Publishing, ed ho iniziato a interessarmi di editoria indipendente e self-publishing in particolare.
Come riflessione finale, basata sulla mia esperienza, direi che il self-publishing altro non è che un nome nuovo per una pratica già consolidata, aggiornata alle attuali possibilità tecnologiche e comunicative. La risorsa principale di chi sceglie di auto pubblicarsi è oggi rappresentata dall’ebook, il libro elettronico che azzera i tempi e i costi di stampa, di spedizione, di stoccaggio (nonché farci sentire più fighi e rispettosi dell’ambiente). Le implicazioni di queste possibilità non sono solo pratiche, ma anche “filosofiche”: chiunque può scrivere un libro e distribuirlo in modo pressoché istantaneo in tutto il mondo (altro che regalarlo a parenti e amici!), mentre fino all’altro ieri per ottenere questo risultato era necessario il supporto delle infrastrutture di una casa editrice. Di fatto questa è la vera rivoluzione dell’editoria degli ultimi anni, un processo di cui ancora non è facile prevedere le conseguenze.
Roberto Bonfanti
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