La città era tutto un fermento di preparativi per la visita del Re.
Era un’occasione così rara per quella città, capoluogo di una provincia così lontana dalla capitale, un’occasione che capitava sì e no una volta ogni dieci anni.
Le strade vennero spianate e livellate, i palazzi restaurati, i giardini curati e le fontane riparate e rimesse in funzione.
La febbre dei preparativi aveva contagiato tutti: i ricchi abbellivano di bassorilievi e colonnati i frontali delle loro ville, i poveri davano una mano di vernice alle facciate delle loro baracche, tutti erano presi dai lavori e si erano accantonati gli odi e i rancori; la città viveva fasti dimenticati da tempo.
Venne il giorno tanto atteso e il Re non si vide, ma nessuno se ne accorse, tanto i cittadini erano occupati dalla loro attività.
Non arrivavano notizie in quella provincia sperduta; passò una settimana e poi un mese, mentre la città diventava sempre più bella. Un giorno arrivò un cavaliere dalla capitale e chiese di essere ricevuto dai governanti della città.
Venne preparata la sala da ricevimento più bella per accogliere il messaggero che portava sicuramente la notizia del prossimo arrivo del Re.
Il cavaliere entrò nel salone traboccante di ori e arazzi, avanzò fino al cospetto dei governanti e disse: “E’ triste la notizia che devo darvi. Il Re è morto.”
“Cosa dici, pazzo!”, gli urlò in faccia il più vecchio dei saggi, scuotendolo per le spalle, e poi, in un impeto d’ira lo colpì al cuore con uno stiletto.
“Quell’uomo ha detto il falso. Era un traditore ed una spia.”, disse, indicando il corpo esanime del messaggero di sventura, “Guardie, bruciatene il cadavere. E voi, cari concittadini, tornate al lavoro, che presto arriverà il Re e dobbiamo essere pronti ad accoglierlo con tutti gli onori.”
Roberto Bonfanti - 1990
amaro, perché realistico...
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