Oggi pomeriggio sono stato ospite di una trasmissione di una web radio, Incognite, un programma dove i conduttori leggono e commentano dei racconti. Un mio racconto, L’uomo del banco dei pegni, tratto dalla raccolta Il primo a tornare fu il cane era stato scelto per la lettura. Uno dei due speaker è un mio amico e quando, qualche tempo fa, mi ha invitato a partecipare per fare una breve intervista ho accettato di getto. Poi, mano a mano che la data si avvicinava ho iniziato ad avere un po’ di ansia; immaginavo che mi sarei bloccato di fronte alle domande, che avrei farfugliato cose senza senso e incomprensibili, essendo ben conscio della mia difficoltà a parlare di quello che scrivo. Proprio oggi ho letto un articolo di una blogger che parlava di questo argomento, un pezzo in cui mi sono riconosciuto. In passato ho tenuto qualche corso inerente la mia professione e credo di essere stato sciolto e disinvolto nello spiegare agli allievi le funzioni di un mixer audio o di come si allestisce un piano luci in teatro, ma in quel caso si trattava di aspetti tecnici, di macchinari e attrezzature, tutte cose in cui conta solo l’esperienza e la conoscenza, argomenti asettici, niente di personale. Parlare di ciò a cui tengo, che faccio solo per passione, nel quale ho messo impegno e creatività è tutto un altro paio di maniche. Com’è andata a finire lo potete vedere e sentire qui
Da questa esperienza posso trarre due conclusioni: la prima è che sentire qualcuno che legge i miei scritti mi ha fatto uno strano effetto, gli accenti e i ritmi di un lettore diverso da me talvolta mi confortavano sulla scelta di certe frasi, altre mi facevano riflettere se fossero effettivamente quelle più adatte. La seconda è che le mie paure erano fondate; nonostante Ginevra, Marco e Massimiliano (e di questo li ringrazio) abbiano fatto di tutto per mettermi a mio agio ho effettivamente farfugliato cose non molto comprensibili.
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